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reportage: The overstatement of understatement

 

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Guardo queste foto e tutto mi appare ovattato, come se non ci fossero rumori, come se i bambini parlassero sottovoce, niente urla o schiamazzi ma bisbigli, segreti confidati ad un orecchio, parole emesse con un filo di voce.

Così come una foto accanto ad un’altra cerca di non disturbare, di non prevaricare, di non provocare quella che le sta accanto, così i piccoli ospiti di questo asilo nel cuore bradicardico della periferia di Nagoya al centro del Giappone, imparano il rispetto, la “lingua del rispetto”, una sorta di linguaggio non verbale che regola i rapporti interpersonali attraverso cerimoniali e linguaggi gestuali.

Siamo immersi nella cultura nipponica, in uno strato sociale di primaria importanza come quello dell’istruzione, stiamo nuotando tra le parole e le pagine di Fosco Maraini e la sua capacità di spiegare e raccontare un paese così lontano, non solo geograficamente, da noi e dalla nostra visione.

Un’educazione che tende a sradicare la mentalità individualista andando a focalizzarsi sulla “legge del gruppo”, un codice non scritto che agisce sul comportamento fin dall’infanzia.

Ed è proprio attraverso questa legge che agisce anche l’istruzione, attraverso precise dinamiche che fondano a loro volta il legame tra l’individuo e il gruppo in un rapporto di reciprocità: l’individualità del singolo si legittima attraverso l’appartenenza al gruppo stesso, in una sorta di coscienza di legame.

È un legame raffigurabile non solo come un anello che congiunge altri due anelli ma come una vera a propria maglia, una parte integrante di una vasta e complessa rete, quella sociale. I bambini si muovo all’interno di questa rete e ne diventano un tutt’uno, attraverso la cultura, lo sport e le relazioni con i compagni, in un contesto di disciplina che non prevede punizioni proprio perché la coercizione non è data dalla paure di essere sgridati ma dalla riprovazione sociale dei propri compagni, come se fosse molto più grave alterare l’equilibrio del gruppo.

Forse in un modo un po’ semplicistico, e i lettori mi perdoneranno per questo, i legami in Oriente e, perché no, anche all’interno di questo asilo, potrebbero essere paragonati al gioco dello Shangai, in cui è difficile estrarre un singolo stecchino senza far precipitare o semplicemente muovere quelli che gli fanno da supporto, che stanno sopra o sotto, o anche solo vicini. Ma d’altra parte è proprio l’insieme degli stecchini che da risalto al singolo e ne definisce la posizione.

Ogni bambino diventa quindi un piccolo stecco, ognuno di colore diverso, ognuno con le sue piccole peculiarità, che diventano tali solo se viste nell’insieme di tutti gli stecchini.

Siamo di fronte alla magia di un popolo antico, di una cultura che a volte vediamo tanto lontano dalla nostra e forse proprio per questo tanto misteriosa, ma che allo stesso tempo incuriosisce. “Rubando” un pensiero di Fosco Maraini in cui tanto bene descriveva questa curiosità: «Intanto respiro a pieni polmoni, senza pensare, l’aria della mia seconda patria, della terra dove ho vissuto e sofferto a lungo, dove sono nate le mie figlie, l’aria di quest’Ellade d’oriente che ha il magico dono di stregare per sempre colui che l’ha amata una volta».

Un viaggio in questa meravigliosa cultura guidati dagli scatti di Federico Leone, che, ispirandosi al lavoro di Maraini, è riuscito a mostrarci le emozioni, gli stati d’animo o semplicemente i gesti di un bambino, ma che nel loro insieme sono i gesti e gli stati d’animo di un paese intero. Anche lui, come il grande e poliedrico etnologo, ha respirato quell’aria, l’ha amata e si è fatto piacevolmente stregare.

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